casa e turismo 7ma edizione 1955 (novembre-dicembre)

un interessante appartamento da abitare
a.colonnello

L’arredamento che viene presentato in queste pagine, curato da Attilio Colonnello per due giovani sposi, a Milano – e in via di realizzazione – vuole essere un esempio di armoniosa ambientazione di mobili dallo stile vario, non sempre di grande pregio – alcuni di proprietà delle rispettive famiglie degli sposi – in una cornice sobria, moderna, accogliente. Il taglio dei locali è stato modificato rispetto alla pianta dell’appartamento originario, onde ottenere un maggior sfruttamento di spazio nella sala-soggiorno, un minor spreco di disimpegno centrale e una più confortevole zona di servizio.
Attilio Colonnello s’è proposto di attuare un ambiente ricco di “ inquadrature “, con un gusto vagamente scenografico, pittorico, ma senza far ricorso tuttavia a leziosità falsamente preziose. Gli elementi moderni conservano infatti una rigorosità architettonica di notevole pregio stilistico. In via polemica ( ch’è poi la più viva e quindi anche interessante ) potrebbe essere rilevato in questo arredamento una certa compiacenza formale: ma occorre osservare come gli ambienti di una casa signorile non possono scadere sul piano di un più o meno razionalistico geometrismo compromettente lo stesso calore degli ambienti. La casa deve essere, essa stessa, con le sue pareti, la sua architettura e anche la sua decorazione, ispiratrice all’uomo, conservatrice dei ricordi dell’uomo, palpitante d’umanismi suggerimenti e invenzioni.
 

  • Il soggiorno - Tre pannelli girevoli di m. 0.70x2.30 dividono il soggiorno vero e proprio dalla sala da pranzo. Sono laccati in rosso veneziano e imbottiti in velluto giallo veneziano%2C con borchie in ottone brunito. Il tavolo da gioco e' del principio dell'Ottocento. La ribalta sulla sinistra%2C in noce%2C e' un prezioso mobile della seconda meta' del Settecento veneziano. Le poltrone sono di stile inglese e%2C le moderne%2C e Eames. La lampada consta di un fusto in metallo e un paralume a tamburo in pergamena bianca.
  • Particolare della libreria affiancata all'angolo bar.
  • Il soggiorno - Un'altra veduta del soggiorno: il mobile bar.
  • Lo spogliatoio - Una mensola per la toilette e un armadio a parete intera (sfruttato nella sua profondita')%2C sono glu unici elementi di questo disimpegno. La fotoincisione sul legno%2C a colori%2C riproduce un quadro del Canaletto e maschera l'ingresso all'armadio. La moquette in terra e' continua con la stanza da letto.
  • Camera matrimoniale - Ad eccezione dei due letti%2C dalle semplicissime linee%2C e delle poltrone%2C non esistono altri mobili in questa stanza. Una mensola in marmo bianco lasa%2C porta libri%2C una tarsia seicentesca di un vecchio coro di campagna (alla destra dei letti) e le due ante in pergamena bianca e borchiate sono gli altri elementi decorativi di questa stanza. Dalle due ante si accede allo spogliatoio. La moquette%2C in terra%2C e' continua con lo spogliatoio.

casa e turismo 14ma edizione 1957 (gennaio-febbraio)

Sul valore della personalità di Attilio Colonnello non vorremo anticipare giudizi; è ancora molto giovane e molte strade gli rimangono tuttora aperte: dalla scenografia alla pittura da cavalletto, alla decorazione, all’architettura ( forse sopratutto d’interni) – comunque è certamente un artista, ricco di fantasia, cultura, sensibilità e coerenza. La sua padronanza della matita come del pennello è sicura, così come è chiara oramai la tendenza che egli rivela scopertamente e che consiste nella nostalgia d’un mondo << fin de siécle >>, che oggi forse sentono pochi, però certamente molti ripudiano o per conformismo ( il morbo nazionale ) o perché trovano più facile e più sbrigativo l’astrattismo tutto fare. Ripetiamo di non voler anticipare giudizi esprimendo solo l’opinione che scenografia costumi teatrali sono le due attività artistiche che più si attagliano all’indole di Colonnello, anche perché gli consentono di ritrovare in piena indipendenza il suo paradiso perduto: senza artificiosità di mezzi, ma nell’artificio chiaro e dichiarato del palcoscenico.

 a. arbasino

In ogni città che conti abbatsanza, ciascuno di noi è indotto da un carico d’interessi numerosi e diversi a intrattenere i propri personaggi-guida: indispensabili a illuminare sfondi, a chiarire circostanze, a mettere mano su quello che vale; fondamentali per inserirci nel settore desiderato, immediatamente ( diciamo: mezza ora dopo l’arrivo, venti minuti dopo aver tolto il numero di telefono giusto da un turgido carnet ). 
Attilio Colonnello forse ignora di essere fra questi un pilota per i più stimolanti itinerari, chiave baroccamente complicata, fino al capriccio per una speciale Milano dove, ad un certo punto, importano maggiormente non Palazzo Marino, ma La Scala, non la Borsa, ma il Politecnico, e gli antiquari di via della Spiga e di S. Andrea certamente più delle officine di Sesto S. Giovanni.  Forse lo ignora, ed è capace di arrossire con l’abile sincerità di chi non preferisce il bluff, ma piuttosto scoprire il proprio gioco, a costo di rientrare in crisi con reazioni volta a volta impetuose o timidissime ugualmente imprevedibili. Questo rossore dopotutto infantile si manifesta come civetteria e come difesa: l’orecchio sorvegliatissimo avverte già prima di sbagliare la stonatura cui il nostro amico non può fare a meno e subito è neccessario correre ai ripari con una impennata dialettica, inventarsi una salvezza qualunque.
Il personaggio è almeno singolare come la geografia di questa città inquietante, percorso da fantasmi reali e vivissimi: corniciai per iniziati, retroscena teatrali à sensation, tenebrosi recessi dove poltrone-capolavoro nascono dalle dita di artigiani che domani saranno celebri. La strada di Colonnello parte piuttosto lontano: origini ben affondate negli slanci e negli abbandoni egualmente generosi del nostro dopoguerra che è ancora tutto da raccontare, sono stati gli anni delle scelte delle cotte delle conversioni e scoperte da assimilare in seguito e da accantonare nei fondi, comuni a questa generazione di venticinque anni con la quale siamo cresciuti, cresciuti, cresciuti, e sta venendo fuori molto bene, dovrei dire. Ciascuno ha seguito dopo i suoi << postulati fideistici >> i propri miti personali, si è diversamente costruito.
Ma basterà sempre un cenno o una parola per richiamare presente, vivissima, forse straziante, una epoca una fase; ormai schedata ( perchè da ogni esperienza s’ha da trarre giovamento anche se a suo tempo rappresentò forse un << coltello nella piaga >> ).
Attilio Colonnello, preso in trappola fra Gio Ponti e Bérmann via dalle aule del Politecnico affrontò Venezia con un tumulto pieno da ragazzo. Dopo il sole, l’acqua, il colore, la sua gente, il paesaggio lagunare pone Colonnello per la prima volta davanti a se stesso: e i suoi primi nervosi e violenti scatti di pittore faticano a trovare un freno nello spazio della tela. In laguna ascoltava i discorsi << dei grandi >> senza ironia, perchè non immaginiamolo capace di usare boutades facili per chi gli insegna qualcosa, nè sfiorando l’atteggiamento di sorridente sopportazione verso i nati prima di lui. Per chi ha già percorso una sua strada lo si vede mostrare ammirazione sincera, e di ogni artista vuole distinguere origini e tendenze, eredità e apporti, con la stessa naturalezza con la quale dall’antiquario valuta il pezzo autentico e lo distingue da quello egregiamente ricostruito.
Se per caso qualche  << vecchio >> pittore, qualche architetto maggiore d’anni e d’esperienza, o un letterato incline al cicaleccio mostra di volerlo intrattenere, Colonnello se ne stupisce e dopo essersi inchinato con la derefenza mescolata al sussiego degli spagnoli si domanda: << mi sono comportato bene? Forse sono stato un pò freddino >>, e subito dopo suda freddo: << o forse troppo espansivo? >>. Perché poche persone sono apparentemente più complesse e paurose di sentirsi stonate di questo parlatore senza freni che trova la sua spontaneità in un diluvio di parole e raggiunge la naturalezza in un rete di contraddizioni.
Ma bisogna che un giorno Colonnello racconti degli uomini venuti << prima di lui >>, i suoi incontri, l’ultima visita a De Pisis, o Bruno Barilli, dignitosissimo nella sua povertà, che in un caffé di Trastevere divideva una pasta tra il proprio caffé e latte e quello della sua compagna sconosciuta. Racconti di Alberto Savinio che lo intratteneva in Piazza San Marco sulla inciviltà della pittura murale e di Giuseppe Novello e Enrico Piceni incontrati del loggione della Fenice con i primi balletti del dopoguerra di De Cuevas e Milloss. Di Ferdinando Reyna o Barbantini che in Campo San Vio baciò e ribaciò un raro piatto dell’Antonibon prima di mostrarglielo e nasconderlo sotto la giacca. Di Sabatino Lopez fuggiasco, con lui fanciullo per mano, ad Arona nel 1943, dove Gianfilippo Usellini risiedeva e Marino Moretti vi faceva le sue comparse. Della melanconia dolce e misteriosa di Pio Semeghini a Burano, della virtù serena di Vellani Marchi, degli incontri con Comisso.
Dei suoi primi quadri venduti a dicciott’anni al costumista Jean Louis Berthault della Columbia di Hollywood e allo scenografo Paul Bertrand collaboratore di Clement per << Giochi proibiti >>. Del suo primo viaggio in Francia o in Spagna e nel Nord Africa con l’entusiasmo della giovinezza che a un dato momento scopre d’essere più meridionale di quanto il suo sangue glielo consenta. Forse la passione per il teatro è nata allora: certo la Spagna e Venezia e Napoli contribuirono a << condizionargli >> un mondo di forme e colori, di suoni e di fantasie che si trasformò in lui selvaggiamente. Ma la sua prima esperienza diretta con il palcoscenico Attilio Colonnello l’ebbe a Firenze nel 1956, chiamato da Giovanni Paolucci a curare l’allestimento imprevedibile in un debuttante, che gli valse il riconoscimento della stampa e di uomini di teatro come Nicola Benois.

Oggi Attilio Colonnello sta mandando cose in America e il << curriculum >> che va preparato in questi casi è assai lusinghiero. Del resto vedendo queste pagine è chiaro perché testimoniamo una grossa fiducia alla bravura, alla fantasia, alle invenzioni di Colonnello, alla certezza dei suoi risultati.

  • BURANO 1949 - Collez. Jean Louis Berthault - Hollywood
  • BURANO 1949 - Collez. Paul Bertrand - Parigi
  • PIAZZA DEL POPOLO - Roma 1953 - Collez. Avv. Palladino
  • Incontro con Gaudi' - Barcellona 1951
  • Fantasia per un maestro di danza. Commedia dell'arte: ARLECCHINO. Studio per un torero.
  • Fantasia per un maestro di danza. Commedia dell'arte: ARLECCHINO. Studio per un torero.
  • Fantasia per un maestro di danza. Commedia dell'arte: ARLECCHINO. Studio per un torero.
  • Per << Le donne curiose >> : BRIGHELLA.
  • Figura Spagnola
  • XX Maggio Musicale Fiorentino 1957: Siparietto per << La donna del lago >> di Rossini.
  • Realizzazione scenografica di Attilio Colonnello per << La Traviata >> nel secondo e quarto atto; spettacolo di inaugurazione del XIX Maggio Musicale Fiorentino - Direttore Tullio Serafin, Regia di Giovanni Paolucci - Protagonista Renata Tebaldi. - Colonnello si riferisce al clima provinciale italiano riproponendo epoca e stagioni che la consuetudine aveva alterato.
  • Realizzazione scenografica di Attilio Colonnello per << La Traviata >> nel secondo e quarto atto; spettacolo di inaugurazione del XIX Maggio Musicale Fiorentino - Direttore Tullio Serafin, Regia di Giovanni Paolucci - Protagonista Renata Tebaldi. - Colonnello si riferisce al clima provinciale italiano riproponendo epoca e stagioni che la consuetudine aveva alterato.
  • Impianto scenico-architettonico di Attilio Colonnello nel Giardino di Boboli per << Orfeo >> di Monteverdi. Regia di Aurelio M. Milloss. Realizzazione lignea curata da Roberto Matteini. Giugno 1957, XX Maggio Musicale Fiorentino.

Sipario n.132 - Aprile 1957

IL BOZZETTO COME OPERA D’ARTE

Alberico Sala

A chi conosceva le prove e gli esiti degli anni che sono seguiti non apparirà strano che la prima sensibilità al disegno e al colore si sia sbrigliata, per Attilio Colonnello, nella regione d’acque e di terra compresa nella laguna veneta. Ed è certamente non accessorio rammentare che i primi quadri del giovanissimo artista vennero acquistati, a Venezia, da un costumista, Jean Louis Berthault, della Columbia holliwoodiana, e da uno scenografo, Paul Bertrand che lavorò con Clément in Giochi proibiti. Erano quelli, dal 1947 in poi, gli estremi anni della poetica buranella: De Pisis vi compariva per l’ultima volta.
Poi sarebbero venuti gli altri a vendere la sua gondola da paròn. Vi compariva sempre Vellani Marchi e Semeghini, Seibezzi e Dalla Zorza. Con i colori entrò nel sangue di Attilio Colonnello, che non aveva ancora diciott’anni, il segreto di quella terra e di quella gente che si rivelava nello scenario delle case a pelo d’acqua, nel paesaggio incessante, misurato dalle ragazze e dai ragazzi, sull’ora del tramonto, come per una rappresentazione antichissima e senza fine. A Venezia il Marchese De Cuevas e Milloss sciorinavano i loro balletti: dal loggione della Fenice con Giuseppe Novello ed Enrico Piceni, il nostro giovane decifrava i ritmi di un’arte spontanea e misteriosa. In Piazza San Marco, un mattino, conobbe Ferdinando Reyna, quegli che si è addentrato fino alla preistoria della danza. Così, nell’aria terribilmente scenografica di Venezia e della laguna, Colonnello cominciò a dipingere e a disegnare: ed ogni tavola riscattava spontaneamente, quasi perdutamente, una sua interna destinazione visiva. É accaduto, in più di un caso, che quadri suoi siano divenuti suggerimenti per scenografie senza con ciò sottrarre nulla alla autonomia di una visione, né alla felicità di una esecuzione. Gli è che il teatro, dai primi inseguimenti dei caratteri di Arlecchino, di Pantalone e di Pulcinella, diventava sempre più, per il nostro artista, l’unica realtà poetica e che ad essa egli riconduceva ogni ricognizione sensibile, ogni appunto, di colore o di linee.
Una convalida di questa costante nel lavoro di Attilio Colonnello, si può reperire anche da una rapida indagine fra quelle che sono le sue frequentazioni culturali, i suoi autori preferiti.
La << scoperta >> della Spagna, nel 1950, avvenne per lui con le poesie di Garcia Lorca sotto il braccio.
Fu l’ingresso stupefatto nel regno integro di suoni e di segni dei gitani e dei picari, dei saltimbanchi e dei trovatori, dei matadori e dei campesinos. Questo fertilissimo, rigoglioso entroterra della civiltà mediterranea, si compose, in Attilio Colonnello (era naturale) come teatro. La Spagna si collocò con la sua riserva inesauribile di tipi, accanto al palcoscenico veneziano, sporto al mare, con la fitta abitazione di maschere. Spagna e Venezia, Lorca e Goldoni, si rinvennero così in lui adiacenti e senza disagio: e, a bene osservare, un flusso ininterrotto, di simboli e di miti, allaccia le due sponde.

Il primo impegno pubblico, Attilio Colonnello, l’incontrò per la subitanea fiducia del regista Giovanni Paolucci, che non lo conosceva, ma intuì da alcuni disegni le possibilità del giovane, sul palcoscenico del Teatro Comunale di Firenze, nel 1956. Quell’anno, Colonnello inaugurò con La Traviata, direttore Tullio Serafin e interprete Renata Tibaldi, il XIX Maggio musicale fiorentino. Un battesimo importante, per i risultati raggiunti, che contemperavano le esigenze più teatrali con la personale interpretazione del dramma verdiano e, sopratutto, per l’indicazione che offriva di una nuova presenza, dotatissima, nel campo della scenografia italiana. E pochi mesi dopo, Bindo Missiroli chiamava Attilio Colonnello a inscenare Anna Bolena per il suo Teatro delle Novità. Due realizzazioni, quindi, di opere gravose e difficili: il confronto con i tentativi spesso velleitari di molti giovani – tra riedizioni e baloccamenti intellettualistici – suggerisce già un giudizio importante. Nicola Benois si complimentava con il giovane scenografo, senza reticenze, prevedendo per lui sempre più complesse prove. Crediamo che il breve itinerario di questa verdissima carriera, con la lettura dei saggi impaginati qui accanto, e che documentano, oltretutto, la versatilità dell’autore, consentono di guardare Attilio Colonnello come ad una delle più promettenti – perché già tanto sicura – risorse della nostra scena.  

  • Attilio Colonnello. Quinta scenografica << Omaggio a Bermann >>
  • Attilio Colonnello. Teatro delle novita' 1956. << Anna Bolena >> di Donizetti, atto primo. Regia di E. Colosimo. L'impostazione scenografica s'e' rifatta al gusto tardo-romantico e neo-gotico dell'epoca, pur senza diretti riferimenti a stampe o documenti, ma culturalmente riproposta e assimilata.
  • Attilio Colonnello. Figurino holbeiniano per il coro in << Anna Bolena >> di Donizetti. (Realizzazione sartoria Fiore).
  • XIX Maggio Musicale Fiorentino 1956. Scena del terzo atto de << La Traviata >>. L'ambientazione provinciale, volutamente italiana bussetana proposta da Colonnello e dal regista Paolucci e' stata accolta favorevolmente dalla critica che l'ha contrapposta polemicamente all'edizione di Luchino Visconti. Direzione scenotecnica di P. Caliterna.
  • Attilio Colonnello: << Anna Bolena >>. Illustriamo nella foto a fianco e sotto il bozzetto e la realizzazione del secondo atto del melodramma di Donizetti, riesumato dopo cento anni di letargo sul palcoscenico del Teatro delle Novita', nella patria del compositore. Si noti che la grandiosita' dell'impostazione prospettica di Colonnello e' stata conservata nella realizzazione per l'accorta grafia del bozzetto.
  • Attilio Colonnello: << Anna Bolena >>. Illustriamo nella foto a fianco e sotto il bozzetto e la realizzazione del secondo atto del melodramma di Donizetti, riesumato dopo cento anni di letargo sul palcoscenico del Teatro delle Novita', nella patria del compositore. Si noti che la grandiosita' dell'impostazione prospettica di Colonnello e' stata conservata nella realizzazione per l'accorta grafia del bozzetto.
  • Attilio Colonnello. Dedicato al teatro di Eduardo De Filippo << Questi fantasmi >>.
  • Attilio Colonnello: XIX Maggio Musicale Fiorentino. Figurini per << contadinelle >> (realizzati dalla Casa d'arte Cerratelli di Firenze).